Amare di più chi ci sfida: una riflessione personale sul mestiere di insegnante

Qualche giorno fa mi è ricapitato tra le mani un pensiero di Papa Francesco rivolto agli insegnanti. Rileggerlo oggi, dopo la sua scomparsa, ha avuto un sapore diverso. Le sue parole, già forti e vere, si sono caricate di una luce nuova, come se contenessero un’eredità da custodire.

Chi vive la scuola ogni giorno sa perfettamente che la vera sfida educativa non sono gli studenti “bravi”, puntuali, educati, motivati. La vera sfida sono gli altri. Quelli che arrivano in classe con un carico invisibile di difficoltà, silenzi, rabbia o dolore. Quelli che “non vogliono studiare”, che spesso ci fanno sentire impotenti, che rischiano di farci perdere la pazienza.

Eppure, sono proprio loro che ci chiedono più amore. Non un amore astratto o idealizzato, ma concreto, fatto di attenzione quotidiana, ascolto, comprensione. È facile affezionarsi agli studenti che ci somigliano, che rispondono con entusiasmo, che restituiscono quello che diamo. Ma il vero merito – come diceva Papa Francesco – sta nell’amare quelli che mettono alla prova la nostra vocazione.

In una società dove i giovani faticano a trovare punti di riferimento, noi insegnanti siamo chiamati a essere molto di più che trasmettitori di contenuti. Non basta conoscere bene la grammatica o la storia: serve la capacità di costruire relazioni educative vere. Serve vedere ogni studente per quello che è, non per quello che appare. Serve accogliere le sue fragilità, riconoscere le sue potenzialità, anche quando sono nascoste.

Io ci credo profondamente. Credo che ogni ragazzo, anche il più “difficile”, abbia un bisogno enorme di sentirsi accolto e stimato. E credo che il nostro compito, per quanto faticoso, sia proprio quello di essere lì, presenti, pazienti, capaci di amare anche quando riceviamo indifferenza od opposizione. Credo che il nostro lavoro sia prima di tutto un atto di cura. E anche quando tutto sembra difficile – quando ci scontriamo con la demotivazione, con l’indifferenza, con il silenzio – continuo a pensare che valga la pena esserci. Perché anche un piccolo gesto di attenzione può fare la differenza. Anche un insegnante solo, in una classe complicata, può accendere una scintilla.

Un computer può insegnare nozioni. Ma solo un insegnante può far capire cosa significa essere visti, rispettati, accompagnati. Solo un insegnante può trasmettere valori e costruire abitudini che creano armonia, dentro e fuori dall’aula.

Per questo continuo a fare questo mestiere con passione e a portarlo avanti con tutto l’amore possibile.

Perché ogni volta che riesco a creare un piccolo ponte con uno di quei ragazzi “difficili”, sento che vale la pena. Che la scuola ha ancora un senso. Che l’educazione è davvero un atto d’amore.

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